Il SEO è morto? Viva lo SMO!

Da qualche mese è sempre più difficile utilizzare Google sui dispositivi mobili. La troppa pubblicità con cui BigG infarcisce i risultati delle ricerche, rende difficoltosa la lettura già sui normali pc, dove ci si può ancora destreggiare per via delle dimensioni ancora “grandi” dei monitor, figuriamoci poi se la stessa ricerca la proviamo a fare da un tablet o, peggio ancora, da uno smartphone, dovela situazione diventa davvero complicata: si rischia di non vedere nessun risultato della ricerca senza dover scorrere la pagina. Tutta colpa della pubblicità e delle mappe di Google che tolgono spazio e visibilità alle ricerche organiche che, fino a prova contraria, sono quelle che tutti noi preferiamo perché più “genuine”.

Tutto ciò ha conseguenze devastanti soprattutto per le aziende che cercano in tutti i modi, attraverso il lavoro dei consulenti SEO, di scalare le serp e comparire il più in alto possibile tra i risultati. Con tutta quella pubblicità, le probabilita di riuscita dell’impresa sono vicine al nulla.

Discorsi che, se visti da un punto di vista un po’ drastico, rischiano di decretare in qualche modo la fine annunciata del Seo (Search Engine Optimization), l’insieme delle procedure su cui si lavora per rendere il sito piùvicino ai desideri dei motori di ricerca.

Il quotidiano inglese The Guardian, non proprio l’ultimo arrivato, è proprio di questo parere come ha scritto qualche giorno fa: “Nel peggiore dei casi, il Seo si traduce nel rendere i contenuti web meno interessanti per i lettori ma migliori per i robot dei motori di ricerca e per i misteriosi algoritmi di Mountain View”. Con l’aggravante che da qualche anno a complicare la faccenda si sono messi anche i social media che nel 2012, secondo un rapporto di Forrester, hanno generato il 32% delle “scoperte online” contro un 54% di marca Google e altri motori di ricerca. Il pareggio dei conti è quindi dietro l’angolo.

Quale sarebbe, a questo punto, la medicina con cui singuarisce da questo problema? I medici del web l’hanno (l’avrebbero) trovata: si chiama SMO (Social Media Optimization) ed è l’acronimo che, secondo molti, manderebbe definitivamente in pensione il SEO. Sono infatti sempre di piú le “raccomandazioni degli amici sui social network” e iniziano a contare molto di piu di tutti i benedetti algoritmi creati a Mountain View o giù di li.

Dal Marketing al Web Marketing: la metamorfosi della comunicazione pubblicitaria.

Agli albori del Marketing le imprese promuovevano i loro prodotti/servizi con l’aiuto di un messaggio semplice e diretto ripetuto il più volte possibile ad un pubblico di potenziali clienti.

Un pubblico “di massa” attento alle novità e che poteva essere raggiunto a costi relativamente contenuti con mezzi di comunicazione altrettanto “di massa”: televisione, radio, giornali, affissioni.

Con la differenza che questo succedeva 50 anni fa, epoca in cui bastavano tre passaggi in televisione per raggiungere lo stesso target che adesso ne necessita di almeno un centinaio per essere colpito.

Giusto per tornare ai nostri tempi, da qualche anno a questa parte il Marketing si è dotato di una parolina accompagnatoria: “web”, che altro non è che il risultato dello sviluppo delle tecnologie informatiche “di massa” (internet e mobile) messe a disposizione del pubblico che si è così trasformato da passivo ad attivo, costringendo quindi le imprese a cambiare modelli di riferimento e soprattutto di comunicazione.

Benvenuti nell’era del Web Marketing, un mondo in cui chi riceve il messaggio adesso è anche libero di interpretarlo generando a sua volta un commento che l’autore del messaggio stesso (azienda o impresa) non può assolutamente ignorare.

Il potere della comunicazione si è dunque rovesciato: prima apparteneva alle aziende che urlavano slogan senza dispensare risposte, adesso è monopolio di consumatori sempre più consapevoli del loro ruolo e che tengono monitorate quotidianamente le imprese, costrette a cedere lo scettro a clienti sempre meno interessati alle novità di prodotto e sempre più impegnati nel sapere cosa pensano, di quel prodotto, gli altri comuni mortali.

I guru del marketing hanno così fatto di necessità virtù, studiando strategie di comunicazione sempre più in linea con questa novità di mercato. Per esempio evitando di proporre semplicemente “un prodotto alla massa”, ma tentando di dare spazio alla “emotività del cliente”, consapevoli che coloro che 50 anni fa ascoltavano e basta, adesso prendono il megafono e replicano.

E’ il Web Marketing, bellezza.

IABForum 2012: aumentano i giovani ma non diminuiscono le cravatte.

Anche quest’anno sono stato allo IAB Forum di Milano. Chiunque si occupi di Web Marketing e New Media non può fare a meno di partecipare a questo evento che, giunto alla decima edizione, è ormai un must per gli addetti ai lavori.

Prima considerazione a caldo: quest’anno c’è meno gente del solito. Per comodità dicono tutti che la colpa è della crisi. Sarà vero? Potrebbe essere cosí, visto che io stesso ho timbrato il badge solo il secondo giorno.

Tra i tanti workshop gratuiti, quest’anno ho deciso di concentrarmi maggiormente su quello dedicato all’email marketing (da adesso EM).  E l’ho fatto per due motivi, il primo perché a moderare c’era il mio amico Roberto Ghislandi, vecchia volpe dell’EM e il secondo perché gli argomenti trattati erano quelli più stuzzicanti.

I relatori del workshop sull'email marketing allo IABForum di Milano

Sono intervenuti Maurizio Alberti, Managing Director eCircle Srl, Nazzareno Gorni, General Manager di MailUp e Gianluca Cangini, Account Manager di MagNews.

Cerco di mettere in fila le cose più importanti emerse durante il workshop e che ho twittato ai miei follower.

Maurizio Alberti presenta i dati di una ricerca sugli utenti di EM da cui emergono questi dati salienti e interessanti.

L’aumento della fidelizzazione è il risultato più atteso da chi fa o ha fatto EM.

Il tool migliore per integrare i dati a nostra disposizione per fare EM è la web analitics.

La raccolta, l’analisi e l’utilizzo dei dati sono le fondamenta della strategia di eCircle sull’utilizzo dell’EM.

Il 46% delle aziende che fanno EM non ha tempo (o non sa come fare) per verificare eventuali risultati ottenuti. Questo dato è particolarmente sorprendente. Aiutiamole!!!

La mancanza di budget e di risorse sono le cause principali che portano le aziende a NON investire.

La cosa più difficile nell’EM è la generazione di contenuti efficaci. Anche qui The content is king.

Anche nell’EM il cloud la fa e la farà da padrone.

Infine, un dato inclemente per chi ha un sito di e-commerce e lo ritiene lo strumento principale del suo business: il 45% degli utenti di un sito di e-commerce abbandona il carrello per molteplici motivi.

Nazzareno Gorni sforna subito un dato esplosivo: in un anno ogni utente internet genera 322 gb di dati sul web.

Ma chiude con un dato preoccupante: solo il 3% degli utenti che arrivano su un sito di e-commerce chiude la sua visita con un acquisto.

Bello e creativo l’intervento di Gianluca Cangini che, infilandosi una giacca d’oro con le pailettes, intavola uno show immaginandosi di essere nel 2021 e di essere l’artefice del successo di un prodotto che si chiama Home Fly e che si occupo di volo domestico.

Concludo riportandovi dei dati di fatto e delle impressioni che ho colto qua e la negli altri workshop nei quali ho curiosato.

Intanto la scoperta dell’acqua calda: gli investimenti pubblicitari fanno acqua da tutte le parti, l’unica barca che regge all’impatto della crisi è quella di internet. Ma occhio agli scogli…

E poi, il video advertising è tra i mezzi che è cresciuto maggiormente nella storia di qualsiasi altro mezzo di pubblicità.

E ancora, l’Italia è tra i leader mondiali nell’utilizzo di smartphone e tablet, e allora perché la banda larga lascia ancora a desiderare?

Lo scopriremo solo vivendo. Anzi, solo navigando.

Qualche curiosità: a differenza degli altri anni ci sono più giovani, ma le cravatte non diminuiscono. Una cosa che valeva anche gli anni scorsi: allo IAB trovare un bagno è un’impresa titanica.

Poi incontro un amico che ha assistito al forum su “Contenuti e informazione” a cui hanno partecipato Gomez del Fatto Quotidiano e Paolo Liguori e proprio quest’ultimo ha avuto il coraggio di dire agli advertiser presenti in sala che Auditel e Audiweb appartengono al passato, sono roba vecchia. Sempre Liguori, ma questa l’ho letta su Twitter (hashtag #IABForum), avrebbe detto la seguente memorabile battuta: “Quando ho saputo della scelta di Lucia Annunziata per la direzione dell’Huffington Post Italia sono scoppiato a ridere”.

Nel frattempo, nell’aula Silver dello IABForum hanno assegnato il premio per la migliore start-up dell’anno. Ha vinto Iubenda.

Ma la volete sapere la novità più bella di quest’anno allo IABforum? Il sushibar.

E (finalmente) anche i giornali a larga diffusione parlano di Web Marketing.

Ho notato, sfogliando quotidianamente diversi giornali, che aumentano sempre di più gli articoli che parlano di Social Media e di Web Marketing in generale. Repubblica, per esempio, almeno tre volte alla settimana tratta di argomenti a me cari. E ciò non può che farmi piacere, perché se anche i giornali (più o meno popolari) decidono di parlare di come si sta evolvendo il marketing sul web e di come i Social Network stanno prendendo sempre più piede, significa che ormai siamo arrivati a quello che vado scrivendo in questo spazio da un paio d’anni: il futuro è della rete. Piaccia o non piaccia, è così. Non si può più far finta di nulla.

Nei giorni scorsi, per esempio, proprio su Repubblica, il giornale fondato da Eugenio Scalfari e diretto da Ezio Mauro, è apparso un interessante pezzo di Riccardo Luna, (foto) un esperto di internet e di nuove tecnologie e direttore di Wired Italia, dal titolo Benvenuti nell’era dell’invertising, dove il cliente (online) ha sempre ragione. Su questo pezzo casomai tornerò nei prossimi giorni, ma intanto vi invito a leggerlo.

Sempre su Repubblica, domenica scorsa, è uscito un trafiletto firmato dal corrispondente americano Federico Rampini, in cui si parla di come due colossi della rete come Google e Amazon stiano ampliando sempre di più i servizi dedicati al cliente. Interessante, lo potete leggere qui sotto.

Il Marketing del Passaparola: oggi il prodotto si sceglie (sempre di più) su Facebook.

Con questo articolo inizio una collaborazione con il sito www.terzomillennium.net

Spiccioli di una conversazione realmente avvenuta in un liceo di Milano tra tre studentesse durante l’intervallo delle lezioni: Sofia chiede a Camilla e Chiara “Ma voi che blush usate?”. Camilla risponde “Nessuno in particolare, lo rubo a mia madre”. Risponde Chiara  “Anch’io uso quello di mia mamma, ma le ho detto di comprare quello della Kiko, perché su Facebook scrivono tutte che è il migliore e costa poco”.

Quello che avete appena letto è solamente uno dei numerosi esempi del Marketing del passaparola che circolano ogni giorno sui Social Network.  Ed è la consacrazione che ciò che avviene su Facebook, Twitter, YouTube e le altri reti sociali non può piú passare inosservato agli occhi delle aziende che ancora non ci credono.

I dati di una ricerca di qualche giorno fa parlano chiaro: il 51% degli utenti di internet diffida dei marchi che non sono presenti sui Social Network. E questo contrasta con un altro dato implacabile, che dice che solo il 60% delle aziende internazionali ha attivato una strategia di Social Media.

Si stenta a credere che ci siano ancora così tanti Marketing Manager e Amministratori Delegati che ancora non credono nelle reti sociali. E i primi a sorprendersi sono gli stessi utenti che si chiedono perché alcune aziende famose ancora non abbiano una pagina Facebook o un account Twitter. È un po’ come se una delle tre liceali di prima non avesse un profilo su Facebook. Intendiamoci, a una sedicenne non l’ha ordinato il dottore di mettere foto o filmati sulla rete. Ne può tranquillamente fare a meno. Ma per un’azienda è diverso: esserci è diventato quasi obbligatorio, lo chiedono i consumatori, lo vogliono i potenziali clienti. Vogliamo dunque perderli o conquistarli?

Inoltre, il “non esserci” va comunque ad incidere sulla reputazione online di una marca o di un prodotto: sui forum di discussione non si parlerebbe d’altro che dell’assenza ingiustificata su quello o quell’altro Social Network. Un boomerang, se ci pensate.

Ma proseguiamo con i dati: l’89% degli utenti segue almeno una marca o prodotto sui Social.

Il 43% dei giovani tra i 18 e i 24 anni dichiara di aver comprato almeno una volta un prodotto seguendo le raccomandazioni e i consigli presenti sui Social. E se questi prodotti fossero proprio quelli della concorrenza?

E’ quindi giunto il momento, per le aziende che ancora non lo fanno, di attivare una strategia di Social Media, anche se c’è un rovescio della medaglia su cui ancora gli addetti ai lavori devono lavorare: infatti il 30% delle aziende attive sui Social ha riscontrato problemi nella misurazione del ROI. Intanto però ci sono, e parlano ai consumatori e soprattutto li ascoltano. E già questo è un piccolo ritorno dell’investimento.

A proposito, se non sapete cos’è il blush, significa che non avete una figlia adolescente.