Complimenti a Costa Crociere: ecco come si gestiscono blog e social network in caso di naufragio.

La tragedia la conosciamo tutti, purtroppo, anche i muri. E’ proprio per questo motivo che non voglio tornare su quanto successo all’isola del Giglio, perché se ne sta già parlando in decine di altri siti e blog.

Lo scopo di questo post è quello di raccontare la professionalità e la scelta strategica adeguata con cui l’azienda Costa Crociere ha voluto comunicare, e di conseguenza gestire, la vicenda e il probabile disastro d’immagine che poteva scatenare.

La notte dell’incidente, quando ancora nessuno tra i principali siti di informazione aveva pubblicato la notizia, sul blog ufficiale di Costa Crociere sono apparsi due post (all’una e alle cinque del mattino) dal contenuto molto formale in cui si comunicava ciò che stava accadendo nei pressi del Giglio. Qui il primo post e qui il secondo.

Andando a memoria, credo che si tratti della prima volta in cui un’azienda italiana in un momento tragico e delicato come quello del naufragio di una sua nave, decide di informare così tempestivamente la clientela attraverso la rete. E facendolo senza farsi prendere dal panico e quindi sfruttando la rete nel modo migliore.

Un blog aziendale non è una vetrina o un catalogo prodotti. Un blog aziendale è un posto, uno spazio, una bacheca, in cui poter comunicare cose che non riguardano necessariamente l’aumento del fatturato e delle vendite. E Costa Crociere questo lo sa bene e la testimonianza di ciò l’abbiamo avuta sotto gli occhi  la notte della tragedia.

Inoltre l’azienda ha anche dimostrato di sapersi muoversi nel rutilante mondo dei social network, decidendo di lasciare aperta a tutti la bacheca della pagina Facebook.

Un comportamento che alla lunga ha pagato: infatti il commento delle 5 di notte pubblicato su Facebook , è piaciuto a 2.811 persone.

E scusate se è poco.

Web Reputation: il caso di Fabio Volo e della copertina di Vanity Fair.

Antefatto: Vanity Fair chiede un’intervista a Fabio Volo alla vigilia dell’uscita del libro e del film. Fabio Volo accetta. Vanity Fair però, pone tra le condizioni che l’intervista sia una sorta di esclusiva e che esca prima di eventuali altre interviste. Unico strappo alla regola, l’uscita di un pezzo su Sette, scritto dallo stesso Fabio Volo.

L’intervista su Vanity Fair è regolarmente uscita, addirittura il settimanale decide di mettere Fabio Volo in copertina, cosa che non fa quasi mai, quando si tratta di scrittori. Ecco qui sotto la copertina in questione.

Il settimanale esce senza che Fabio Volo veda la copertina. Quando la vede va su tutte le furie. Gli dà fastidio quel titolo: Voi donne che non capite IL SESSO, messo proprio lì sotto la sua faccia.  Volo decide così di scrivere due righe sulla pagina Facebook del Volo del mattino, la trasmissione radiofonica che tiene ogni giorno su Radio Deejay. La pagina, al momento in cui scrivo, “piace” a 72.087 persone, davvero una popolazione immensa di fan, stando alle medie di Facebook. Leggete qui cosa scrive Volo:

Non voglio entrare in polemica con il direttore di vanityfair. Ho scritto giorni fa che trovavo il titolo con la mia faccia in copertina squallido. Oggi ha difeso i suoi lettori e la giornalista. E’ un bel gesto da parte sua ma non lo capisco. Io non ho espresso alcun giudizio sui lettori e tantomeno sulla giornalista con cui mi sono trovato bene durante l’intervista. Io ho espresso un parere sul titolo e il titolo lo fa il direttore. A me conveniva stare zitto perché per il mio lavoro vanityfair e’ importante. Scusate dico ancora ciò che penso. E’ stato un titolo sleale come quello di difendere i lettori e la giornalista quando io non ho accusato nessuno. Un abbraccio a tutti anche al direttore

Pronta la replica del direttore di Vanity Fair, Luca Dini, che sul sito del settimanale risponde così a Volo:

Quando mi avevano segnalato il tweet del 13 dicembre (Dorian era stato il primo) avevo deciso di fare due cose. Primo, contare fino a cento invece di replicare. Secondo, chiedere a Fabio Volo – attraverso chi lo rappresenta – se davvero quelle parole erano sue. Non avendo ottenuto risposte, non avendo visto smentite, e anzi leggendo stamattina un nuovo tweet, mi vedo costretto a difendere l’onorabilità del giornale e di chi lavora con me. Se poi qualcuno mi dirà che non è stato lui a scrivere quei post e quei tweet, sarò il primo a rallegrarmene. Perché non intendo certo offenderlo, io.

La prima intervista a Fabio Volo, nella raffica promozionale che ha accompagnato l’uscita del suo libro e del suo film, era stata offerta a Vanity Fair. Con il suo agente, che conosco e rispetto, si era detto che prima di noi sarebbe uscito solo Sette, con un articolo firmato da Volo e tutto incentrato sulla scrittura. Forse ho capito male io, forse siamo stati lenti noi a organizzare il servizio di copertina, fatto sta che, quando ci siamo presentati sul set del servizio fotografico, abbiamo scoperto invece che saremmo usciti in mezzo a tutti gli altri. Oggi, Gioia, Repubblica, Che tempo che fa, e sono solo quelli che mi ricordo.

La replica integrale di Luca Dini la trovate qui.

Questi dunque i fatti, il resto lo sta facendo la rete e chi la utilizza, con i commenti da una parte e dall’altra. E qui entra in gioco la web reputation sia di Volo che di Vanity Fair. E’ ovvio che la maggior parte delle risposte alle parole di Volo su Facebook stanno con lo scrittore-attore-deejay. Non poteva essere diversamente. Così come i commenti al post di Luca Dini sono per la maggior parte a sostegno di Vanity Fair.

Quindi la guerra è in atto sulla rete: chi difende il titolo di copertina di Vanity Fair e chi invece sta con Volo e con le sue idee. Se volete farvi un’idea del livello dei messaggi pro Volo, accomodatevi nel suo salotto. Se invece volete leggere le difese a Dini, ecco le chiavi per il salotto di Vanity Fair.

Finora non c’è un vincitore, anzi sì. E’ la rete. E’ lì infatti che succede tutto, oggi. E’ sulla rete che si va a parlare e a prendere le difese di questo o di quel fan. Tenetelo ben presente quando deciderete di aprire (ma spero che lo abbiate già fatto) la vostra pagina aziendale su Facebook o il vostro proflio su Twitter, perchè l’importante è esserci. Ma occhio alla reputazione.

Cosa si dice di voi sulla rete? Come misurate la vostra reputazione online? Ecco due casi di studio.

Vi siete mai chiesti che cosa dice la gente del vostro prodotto o del vostro servizio su internet? Pensate che se ne parli bene o invece che tutti ne parlino male? Dite la verità: non morite dalla voglia di sapere come vi giudicano i consumatori che parlano di voi sui forum online, sui social network o sulle pagine di Facebook a voi dedicate?

Per scoprire tutto ciò esistono degli appositi strumenti, più o meno gratuiti, che vi permettono di monitorare la reputazione online della vostra azienda o dei vostri singoli prodotti. Fin qui sembra tutto facile: si trova il software che più vi piace e si inizia a monitorare la rete. Sì, ma poi? Qui comincia il difficile. Il pettegolezzo va arginato, va moderato, va combattuto. Ci vuole pazienza e soprattutto umiltà: come rispondete, per esempio, a qualcuno che su un forum o su un blog ha detto che il vostro prodotto l’ha profondamente deluso? E scrivendolo lo sta dicendo a migliaia di lettori di quel forum o di quel blog? Bisogna intervenire con parsimonia, senza controbattere nervosamente, perché il rischio è di ottenere l’effetto contrario. Ed è proprio in questo momento delicato che potreste aver bisogno di un consulente che vi suggerisca come agire: a tale proposito, se vi va,  io sono disponibile a parlarne senza impegno. Perchè potrebbe succedervi di fare la stessa fine di un produttore di lucchetti americano, che un bel giorno si è visto pubblicare su YouTube un filmato in cui si mostrava che i suoi lucchetti per biciclette a forma di U si potevano aprire utilizzando una semplice penna Bic.

La notizia si è diffusa velocemente in tutta la blogsfera alla velocità di un virus (un classico esempio di Viral Marketing) attraverso la miriade di post pubblicati da altri blog, diventando così una delle notizie maggiormente diffuse dai media tradizionali e non. Davvero una brutta reputazione per quella linea di lucchetti, vero? Ma il peggio deveva ancora arrivare. Al posto di intervenire ad arginare la falla dei cattivi commenti, l’azienda produttrice dei lucchetti è rimasta totalmente a vedere, in silenzio, ignorando qualsiasi organo di informazione che riportava la notizia e il filmato. Un intervento mirato di scuse e di giustificazioni avrebbe sicuramente limitato i danni e fornito un’immagine migliore dell’azienda. Così invece il marchio ne è uscito deriso e danneggiato per sempre. Tempo dopo si seppe che l’azienda era intervenuta sul mercato sostituendo gli oltre 380.000 lucchetti difettosi in giro per il mondo, con un costo di circa 10 milioni di dollari.

Ovviamente, ci sono anche casi in cui la reputazione di un prodotto ne esce bene. E’ il caso dei maglioncini di pile della Decathlon, che in una discussione nata sul social network FriendFeed, è diventato il protagonista in positivo di una serie di commenti dei lettori che hanno detto la loro su questo particolare capo d’abbigliamento in vendita nei Decathlon di tutta Italia. Il prodotto (e la marca) ne esce tutto sommato bene: in uno dei commenti si legge: “Il pile della Decathlon ha due caratteristiche. Per prima cosa è molto bello. Poi è un tessuto di grande durata.” Inevitabile però, in questo genere di discussioni, anche la presenza di commenti non proprio positivi, tipo quello di un lettore che si chiede quanti bambini siano stati sfruttati per produrre il pile in questione e se i coloranti utilizzati siano o meno cancerogeni.

E di voi e dei vostri prodotti, cosa si dice su internet? Se avete domande su questo tema, scrivetemi.