Perché il giornalismo non può più fare a meno della rete.

Ieri nell’inserto economico Affari&Finanza in edicola con Repubblica, mi ha colpito la rubrica Backstage di Simone Marchetti che parlava di un tema a me molto caro, quello dei Social Network e delle loro straordinarie risorse messe a disposizione a chi vuole comunicare con efficacia sulla rete. Ecco cosa racconta Marchetti:

Marzo 2012. Sfilata di un marchio di moda. In seconda fila due giornaliste di moda italiane parlano a voce alta. La musica, in sala, è assordante. La prima chiede chi siano, in quinta fila, quelle persone sedute di fianco ai colleghi. La seconda risponde che non lo sa, forse sono infiltrati. Dietro di loro, un redattore di qualche anno più giovane spiega: sono alcuni fashion blogger. “C’è la ragazza famosa”, sottolinea citando il relativo sito, “il ragazzo che aiuta la Camera nazionale della moda, quella che si spaccia per blogger e invece fa consulenze di marketing e quello che aiuta un’ex giornalista televisiva convertita a internet”.
Le due fanno occhi da pesce lesso. “Non ci interessano i blogger”, dicono. “Non abbiamo mica tempo per guardare tutti i siti che spuntano come funghi. Del resto, non abbiamo nemmeno un profilo su Facebook. E Twitter, per noi, è un cicaleccio per ciarlatani. Vuoi mettere i nostri articoli e i nostri redazionali di moda? La loro qualità, il loro potere d’informazione”. “Oggi però”, continua il collega più giovane, “le nuove generazioni si informano su tablet e cellulari, controllano più i Social Network di quotidiani e periodici e chiedono nuove modalità di giornalismo. I blogger, poi, vivono attaccati ai risultati di Google Analiytics e sfruttano al massimo le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione”. “Google che? Guarda che il motore di ricerca lo so usare anch’io”, taglia corto la giornalista. “Ma no! Google Analytics è un’altra cosa… Però non fa nulla, sta per iniziare la sfilata”, taglia corto il collega.
In questo siparietto, divertente e allarmante, sta la spiegazione del cortocircuito in atto nell’informazione di moda (e non solo) di oggi. Da una parte ci sono i blogger, bravissimi a maneggiare le nuove tecnologie. Dall’altra, la maggior parte dei giornalisti, arroccati nell’accademia dell’altro ieri. All’estero, però, pochi (ma buoni) blogger stanno imparando la professionalità dei giornalisti, mentre molti reporter si stanno appropriando dei mezzi dei blogger. Domanda: perché in Italia questo processo è ancora agli albori?

E voi di che categoria fate parte? Giornalisti di oggi (e di domani) o giornalisti di ieri?

Fonte: Affari&Finanza – La Repubblica

Mark Zuckerberg starebbe pensando di chiudere il Diario di Facebook. Il motivo? Non piace alla gente.

Da ieri, sull’interessantissimo forum di Giorgio Taverniti, gira questa news ancora in attesa di conferma:

Il 15 dicembre è approdata una novità in casa Facebook: il “Diario”, il quale va a sostituire il classico e ormai noto profilo dell’utente. Questo cambiamento ha suscitato numerose lamentele tra i frequentatori del social network, infatti la maggior parte degli utenti non ne è affatto soddisfatto. Leggendo in vari blog e parlandone con i diretti interessati è emerso che il Diario è scomodo, disordinato, confusionale… In poche parole quasi nessuno lo sopporta! Queste sono solo alcune delle lamentele giunte all’orecchio di Mark Zuckerberg , il quale ha deciso che nei prossimi mesi verrà data la possibilità a ciascun utente di mantenere il Diario oppure ritornare al vecchio profilo classico. Avanza anche l’ipotesi di poter scegliere un terzo tipo di profilo (ancora in fase di realizzazione). Ma cosa avrà fatto cambiare idea a Zuckerberg? Sarà forse perché l’applicazione piace a sole 4.692.709 su 800 milioni di profili che gestisce Facebook?

Io personalmente non ho mai amato il Diario di Facebook (e con me è d’accordo il 70% dei partecipanti al sondaggio della foto qui sotto) e ho trovato scorretto renderlo obbligatorio (parliamo di pagine e non di profili) dal primo di aprile. Staremo a vedere cosa deciderà il grande capo Mark. In attesa che confermino l’attendibilità della notizia. Sarebbe un clamoroso caso di marketing dal basso.